C’è un concetto cardine alla base dello yoga, quello di ecologia della mente. La pratica yoga (in tutti i suoi 8 rami) ha come obiettivo ultimo quello del Samadhi, la liberazione, e per raggiungerlo è necessario fermare le “fluttuazioni mentali”. Necessario è imparare a gestire la propria mente e renderla strumento utile a perseguire la via evolutiva dello yoga.
A partire dalle norme etiche e di condotta yama e nyama, passando per asana (posizioni), pranayama (respirazione controllata), dharana (concentrazione), dhyana (meditazione), samadhi (liberazione), lo yoga ha una struttura efficace e certosina per accompagnare l’iniziato a vedere e lasciare andare i 5 klesha (Yoga Sutra di Patanjali), ossia quei nodi mentali, quelle limitazioni, spesso ferme convinzioni, difetti che bloccano la naturale evoluzione del praticante e ne causano la sofferenza. Pensa tu che il termine sanscrito si traduce veleno, la matrice comune dei cinque è la paura.
I klesha sono:
- avidya, ignoranza;
- asmita, orgoglio;
- raga, desiderio;
- dvesa, avversione;
- diabhinevesa, paura della morte.
Avidya, l’ignoranza
E’ il klesha principale da cui derivano tutti gli altri e qui ignoranza è inteso come ignorare sia se stessi, la propria natura, sia la natura del mondo circostante. Questo è un concetto importante e impattante di cui non si può non prendere consapevolezza. Noi stesse e le nostre esperienze passano attraverso filtri illusori (nello yoga si parla del velo di Maya) che non restituiscono la vera natura delle cose, quindi per la praticante diventa essenziale liberare gli occhi da questo limite.
Un po’ le pillole di Matrix, quello rossa e quella blu. Ricordi?
Asmita, l’orgoglio
Quante volte ti sei sentita dire da bambina di essere troppo orgogliosa? Beh, quello che ci dicevano ha un fondo di verità, ma il concetto merita di essere approfondito ancora un pochino. In particolare questo klesha si riferisce all’ego che crea separazione dal resto degli esseri viventi e dell’Universo intero.
Senza demonizzare l’ego che, comunque, ha una sua funzione importante da trascendere nel viaggio di evoluzione, qui l’importante è comprendere che non c’è distinzione o separazione con quello che c’è intorno a noi, ciò che facciamo all’esterno lo facciamo a noi.
In questo senso è necessario osservare ciò che siamo e ciò che abbiamo intorno permettendo ai veli di dissolversi liberando lo spazio sacro che celano.
Cosa puoi fare nella pratica?
Svadhyaya, lo studio e l’osservazione del sé, ci ho scritto un breve e intenso articolo ai tempi del primo lockdown, vallo a recuperare. Il sunto è: ti devi studiare, devi studiare in generale, devi trovare modi e maniere per la ricerca interiore. Fà ciò che ti stimola ed elimina ciò che non fa per te, e da lì inizia a riconoscere te stessa, il resto arriverò naturalmente. Non si tratta di una conoscenza cotta e mangiata, la saggezza è una formazione che dura tutta la vita e più vite.
Raga, il desiderio
Che sa più di attaccamento a oggetti della materia che non hanno alcun valore per te. Mi soffermo spesso a riflettere e parlare di desideri con le mie allieve perché c’è una confusione pazzesca sulla pratica del desiderio. Il desiderio è uno: quello dell’anima. Da questo derivano tutti gli altri che non fanno altro che avvicinarci sempre di più alla nostra missione animica (dharma). Si presume e spera almeno.
E non c’è da condannare la materialità perché tra gli scopi di vita yogici figurano artha e kama, rispettivamente acquisizione dei beni temporali e piaceri della vita.
Allora qui il punto è scendere nel profondo della propria anima per aprirci a ciò che desideriamo davvero rilasciando tutto ciò che provoca inutile attaccamento. Noi cambiamo di continuo, il mondo intorno a noi cambia di continuo. Cambiano le esperienze, le amicizia, gli amori, l’evoluzione è trasformazione costante, è impensabile cercare di cristalizzare qualcosa.
In tutto questo c’è un punto fermo, sei tu. Ciò che va realizzato è il desiderio che alberga profondamente nel tuo cuore. Per una praticante yoga, spesso il desiderio cardine è perseguire questa via di pura conoscenza di sé.
Dvesha, avversione
Intesa come avversione verso ciò che non apprezziamo e che spesso deriva da esperienze passate. Soffriamo il ricordo che ci ha lasciato qualcosa di brutto e da lì repelliamo ogni suo ritorno nella nostra vita.
I trigger, come sentinelle, ci aiutano a comprendere sempre qualcosa in più su di noi. Ecco, qui è fondamentale riconoscere l’origine di questa repulsione e liberarsene, superarla. Questo non vuol dire che torno a fare ciò che mi ha fatto soffrire, ma mi libero di quella sensazione, di quel richiamo doloroso.
Diabhinevesa, paura della morte
Scrive Iyengar ne “L’albero dello yoga”: “La morte non conta per lo yogi, che non si preoccupa di quando verrà. Per lui è irrilevante cosa succede dopo: si interessa solo alla vita, e come poterla utilizzare a vantaggio dell’umanità. Dopo aver tanto sofferto nella vita e dopo aver acquisito una certa padronanza del dolore, lo yogi matura la compassione per poter essere utile alla società e mantenersi puro e santo. Allo yogi non interessa nulla al di là di questo”.
Chiaramente questo è un assunto difficile da assimilare. La morte è la paura più grande per ogni essere umano, è quella da cui si muove tutto, quella da cui muovono tutte le nostre emozioni e reazioni, istinto di sopravvivenza compreso. La paura di morire, di non farcela… e qui posso riagganciarmi al primo klesha, l’ignoranza, ossia ignorare la propria natura.
All’interno di ognuna di noi alberga il divino, l’ascolto dell’anima ti permette di prendere consapevolezza di questa natura così alta che sembra così lontana, ma è dentro. Certo, quando qualcuno ci lascia è troppo doloroso per tener presente tutto questo. In quel momento in noi c’è solo una voragine che non può essere riempita e nessuno chiede di farlo.
C’è da sapere che la via dello yoga ti conduce a trascendere anche il concetto della morte, a restare nel qui e ora, a godere il tempo presente, a far risplendere l’amore di un caro trapassato all’interno di noi. Siamo molto di più di quello che percepiamo e ti assicuro che ognuno di noi può averne contezza.
Questi sono i 5 klesha, quei flip mentali che causano sofferenza e nascondono la vera essenza della vita e della nostra natura. La via dello yoga, profondamente strutturata ed efficace tanto da essere considerata da tanti “scienza perfetta” ha il potenziale per oltrepassare ciò che comunemente è considerata vita per tornare al centro di se stesse e del Tutto.
Ti invito a riflettere e meditare su questi punti e valutare come influenzano la tua vita e l’espressione pura di te.