Ne Il processo Josef K. è accusato senza sapere di cosa, non gli viene mai spiegato il reato eppure l’intero sistema giudiziario sembra procedere con una logica propria, impenetrabile. Kafka, nei suoi scritti, riproduce perfettamente la manipolazione della verità nella società: tutto sembra avere una ragione, ma nessuno la conosce.
Se è vero che la verità è influenzata dal filtro di chi la vede… è pur vero che di fronte a certe brutture della realtà attuale un minimo di sguardo oggettivo possiamo averlo tutti. Sento sconforto e impotenza nelle persone con cui mi capita di parlare e sempre di più viviamo in tempi in cui la realtà sembra piegarsi, contorcersi, assumere forme che non riconosciamo più.
Le parole vengono svuotate del loro senso, la verità manipolata, la logica capovolta.
Ci svegliamo ogni giorno immersi in un rumore costante di informazioni, opinioni, verità parziali… e più cerchiamo di capirci qualcosa, più ci perdiamo.
Appunto, è come vivere dentro una delle storie di Kafka: tutto appare assurdo, illogico, eppure incredibilmente reale. Le regole cambiano mentre le stai seguendo.
Ciò che sembrava chiaro un istante prima si dissolve in un labirinto di interpretazioni.
Basti pensare ad uno degli ultimi fatti avvenuti proprio qui in Abruzzo a due genitori che hanno scelto di far crescere i loro 3 bambini in un contesto del tutto naturale, fuori quanto possibile dalla logica della modernità, tecnologia e soprattutto dei social… Certo, anche senza nessuna “comodità” secondo i nostri attuali canoni, ma un po’ come hanno vissuto i nostri nonni e, probabilmente, anche qualche nostro genitore fino a qualche anno fa. Bene… questi genitori oggi rischiano di perdere i propri tre figli perché secondo i giudici italiani quelle non sono condizioni adatte (per il fatto in sé potete cercare sul web).
A me pare così assurdo che ci sia qualcuno a dovermi dire come e dove vivere… In mezzo a questa distorsione collettiva, accade qualcosa di sottile: ci disconnettiamo: dagli altri, dal mondo, da noi stessi.
L’assurdo moderno e la perdita del senso
Kafka aveva intuito qualcosa di profondo: l’assurdo non è solo una condizione letteraria, ma una condizione dell’anima quando perde il contatto con la verità.
Il suo protagonista si muove in un sistema di regole invisibili, dove nessuno spiega, nessuno ascolta, nessuno sa davvero cosa stia accadendo.
Kafka puntava il dito contro:
- la disumanizzazione dell’individuo in sistemi impersonali (burocrazia, potere, istituzioni);
- la colpa senza causa, cioè il sentirsi sempre in difetto senza sapere perché;
- la logica paradossale di un mondo dove l’assurdo è diventato la normalità.
Oggi quell’assurdo ha assunto nuove forme.
Non sono più i tribunali o le burocrazie senza volto, ma i meccanismi invisibili della comunicazione, della distrazione, del potere sottile che agisce attraverso lo schermo.
Viviamo circondati da immagini, parole e stimoli che promettono chiarezza ma generano confusione.
Il linguaggio, un tempo ponte tra le persone, è diventato un campo di battaglia.
Le opinioni sostituiscono i fatti, la velocità sostituisce la profondità e la performance prende il posto della presenza.
E così la mente si riempie, ma non vede più. L’essenza scivola via soffocata dal rumore.
Lo yoga come via del discernimento (Viveka)
Nella tradizione yogica esiste una parola sacra: Viveka, il discernimento.
È la capacità di vedere ciò che è reale e ciò che non lo è. È il potere di distinguere la verità dall’illusione, la chiarezza dal rumore.
E questo potere non nasce dal pensiero, ma dalla presenza. Dal corpo che respira, dall’attenzione che si radica nel momento. Lì, il mondo smette di distorcersi. Non perché sia cambiato, ma perché tu hai imparato a vederlo senza filtri.
Ed è qui che lo yoga si rivela un atto rivoluzionario. Non solo come pratica fisica o spirituale, ma come ritorno radicale alla chiarezza. Perché lo yoga, oggi, è un atto politico per il bene della comunità.
In un mondo dove l’informazione cambia significato a seconda di chi la pronuncia, lo yoga riporta la verità al suo luogo originario: il corpo.
Il respiro non mente. Il corpo non manipola. È lì che possiamo ancora sentire cosa è vero.
Ogni volta che ti siedi sul tappetino, smetti di inseguire le forme del mondo e inizi a guardare dentro.
Nel ritmo del respiro il caos si placa. Nel silenzio il rumore si dissolve. E la mente, finalmente, si schiarisce.
Lo yoga ti insegna a vedere senza filtri, a percepire la realtà non come appare, ma come è.
Ti riporta alla tua verità, quella che nessun algoritmo può manipolare, quella che nessun potere può distorcere.
Nel silenzio del respiro, lo yoga restituisce ciò che il mondo distorce: la chiarezza, la libertà, la verità.
Essere presenti è un atto di resistenza.
Quando sei davvero qui, nessuno può farti credere a un’illusione.
Tornare a vedere
Nel simbolismo yogico, il sesto chakra, Ajna, il centro della visione, è ciò che permette di vedere oltre l’illusione. Quando la mente è confusa, Ajna è come una lente appannata, ma nella quiete della meditazione si schiarisce e il mondo riacquista colore.
Immagina di sederti nel cuore del silenzio.
Davanti a te una nebbia sottile, come quella che avvolgeva Josef K. nel suo processo.
Ogni respiro la dissolve, lentamente.
Non perché il mondo fuori sia diventato più chiaro, ma perché tu hai smesso di cercare risposte e hai iniziato a vedere.
Questo è lo sguardo dello yoga: lucido, compassionevole, penetrante.
Uno sguardo che non giudica, ma illumina.
Questo è il tempo
Forse la vera libertà non è uscire dal processo, ma svegliarsi nel mezzo e rendersi conto che il giudice, l’imputato e l’aula erano solo illusioni della mente.
Non possiamo cambiare il mondo kafkiano in cui viviamo, ma possiamo scegliere di non esserne prigioniere e fare ciò che è in nostro potere per cambiarlo almeno un pochino.
Ogni volta che torni al respiro, ti sottrai alla manipolazione del mondo. Ogni volta che osservi senza giudizio, recuperi la tua libertà interiore. E in quella libertà, finalmente, torni a vedere davvero.
Se anche tu senti il bisogno di sciogliere la nebbia e tornare a vedere con chiarezza,
inizia da un respiro.
O, se vuoi, lascia che ti accompagni io, passo dopo passo, in questo ritorno alla presenza.
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