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A proposito di Sarasvati e perdono

Sarasvati è bellissima, accogliente, candida. Nella religione Indù è la dea della conoscenza e delle arti, della letteratura, della musica, della danza, della pittura e della poesia. Ed ancora della verità, delle guarigioni e delle nascite. Gli yogin dedicano la loro pratica ad una divinità, archetipo dei valori a cui ci si ispira, quindi non è solo questione di religione in senso stretto. Si tratta di un modo per praticare la pura devozione donando incondizionatamente, senza aspettarsi “frutti”.

Sarasvati è la dea della comunicazione. La nadi che dal sesto chakra, il terzo occhio, raggiunge la lingua è chiamata proprio Sarasvati. E’ una divinità fluviale, si narra che il fiume Sarasvati, un fiume divino, nasce dal cielo per attraversare l’atmosfera e finire sulla Terra donando fertilità ovunque. Un ponte tra i due mondi, un po’ come l’arte lo è tra quello interiore e quello esteriore.

E’ la dea del perdono, e questa è la cosa che mi lega più a lei. Perché che nell’arte in tutte le sue forme io mi senta a casa è scontato, ma l’arte di perdonare diventa una delle più grandi sfide.

Il perdono… parola meravigliosa se ci si sofferma con la necessaria cura e attenzione. Che atto di amore, cavolo, il più grande. Ho visto tante, ma tante persone perdersi in un bicchier d’acqua, dove il bicchier d’acqua coincide per lo più nella perdita e nell’allontanamento di persone, tra poco sentimento e grande orgoglio. E invece ce ne sono tante altre di persone (conosco anche queste) che hanno sempre teso verso il perdono, quasi incapaci di provare rancore anche di fronte a duri episodi di vita quando si è totalmente decentrati e facili alle reazioni più meccaniche.

Perdonare è un po’ come prendere consapevolezza della propria umanità, della fragilità che ne consegue, della possibilità di commettere errori e di non essere perfetti, ma pur sempre se stessi. Credo che l’atto del perdono sia proprio accettare questa “imperfezione” e questa fragilità in ognuno di noi con amore incondizionato, senza “frutti”, come la devozione di cui sopra. Che non vuol dire farsi mettere i piedi in testa. Il perdono è richiesto con il cuore, e con altrettanta apertura dovrebbe essere concesso.

Con la stessa logica e “cambiando gli ordini degli addendi”: se mi dò la possibilità di perdonare gli altri, allora ne consegue che anch’io posso perdonarmi. Il ché non è sempre facile perché, se ci fate caso, tendiamo ad essere sempre un po’ più severi con noi stessi trascinandoci per anni, anche inconsapevolmente, una inutile “lettera scarlatta”. E’ quando la strappiamo via che avviene il più grande atto di amore, quello verso noi stessi. Alla fine sempre di amore si finisce a parlare, chissà perché…

Che Sarasvati sia con voi, e con me.

Simona

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1 commento

  1. […] a destabilizzarti, è essere presenti a se stessi con pregi e difetti, è perdonarsi (e ne parlo qui), è […]

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