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L’Abc dello yoga, cosa sapere la tua prima volta – parte 1/ Yama-Nyama

In tanti si chiedono cosa è necessario sapere e conoscere prima di approcciarsi allo yoga e a ben ragione, questo dimostra come la complessità della disciplina sia ben percepita dall’opinione pubblica e soprattutto da donne e uomini incuriositi da questa pratica. Ma devo smontare ogni ansia da prestazione (trovi un approfondimento qui) e preparazione perché non c’è niente da sapere la prima volta.

La prima volta basta presentarsi a lezione con la mente completamente libera da ogni preconcetto e lasciarsi semplicemente guidare dalla voce dell’insegnante. Il dettaglio della voce è un particolare sul quale mi soffermo spesso perché, ancora prima di sbirciare quale movimento sta mettendo in atto l’insegnante, è essenziale mettersi in modalità ascolto ON e concentrarsi sul proprio corpo.

Durante una pratica yoga, infatti, accade spesso di ritrovarsi di spalle all’insegnante e non c’è cosa più sconsigliata che stare lì a voltare la testa o a uscire dalla posizione per vedere cosa sta combinando l’insegnante o la vicina di tappetino. Questi sono tutti escamotage che mette in atto la mente per timore di sbagliare, ma non ci sono pagelle e voti quindi siete liberissime di fare tutti gli errori che vi pare.

Un bravo insegnante spiega fin nei minimi dettagli i movimenti da mettere in atto per raggiungere la posizione. Una volta raggiunta, se necessario, passerà tra i tappetini a dirvi come sistemare o meno. Ma anche qui i filoni di insegnamento sono diversi: ci sono insegnanti che sistemano sempre l’allievo e insegnanti che conducono verbalmente alla posizione corretta, per fare in modo che la stessa sia sperimentata in tutta la sua totalità e raggiunta autonomamente. Questo è il mio caso ad esempio, personalmente intervengo in caso di errore recidivo o se mi rendo conto che un movimento è a rischio infortunio.

Mente libera, dunque, da ogni struttura in modo da lasciare al corpo la libertà di sperimentare da sé quanto c’è da sapere. Se, infatti, “la mente mente”, il corpo è portatore delle nostre verità. Acuendo l’ascolto, nel tempo, si inizia a rendersi conto di come il corpo parla ancora prima della nostra mente ed è a diretto contatto con il nostro inconscio. La mente, al contrario, è talmente carica di strutture, concetti, pregiudizi che non si sa mai quando sta dicendo la verità. Inoltre anche un approccio prettamente mentale, il voler comprendere e capire sempre tutto attraverso la mente, ci limita nell’ascolto e blocca anche i movimenti facendo perdere quel senso di fluidità che la pratica potrebbe assumere nonché anche l’esperienza di percepire l’energia che ci scorre attraverso.

Fatta questa corposa apertura, tuttavia, ci sono alcune teorie care alla tradizione yogica, ma che si apparentano bene con altre culture e discipline che lavorano su corpo e spiritualità, da conoscere. Sono quasi indecisa quale delle due mettere per prima perché hanno la stessa importanza a mio parere. Si tratta delle regole di condotta e del sistema che ruota attorno ai chakra. Quale delle due è utile da conoscere prima non lo so, ma in base a come le hanno insegnate a me, partiamo dalle regole lasciando i chakra al prossimo articolo.

Le regole di condotta che yogini (praticanti donne) e yogi (praticanti uomini) sono invitati a rispettare con l’obiettivo di raggiungere Moksha (la liberazione o semplicemente la felicità nel quotidiano) sono Yama e Nyama, ogni gruppo ha al suo interno 5 regole.

Gli Yama sono le norme etiche, cosa fare o non fare, vediamole:

  • Ahimsa, non violenza. Nel cammino verso l’unione con il tutto, la violenza rappresenta la separazione da se stessi e dagli altri. E’ appannaggio dell’ego che, a causa della paura, si mette sulla difensiva o, peggio, attacca aggredendo e quindi compiendo violenza. L’anima, diversamente, punta all’amore e all’unione, comprensione e compassione dell’altro.
  • Satya, non mentire. Anche mentire crea separazione. L’aspirazione yogin è raggiungere Sat, la verità, e di conseguenza essere e agire in linea con la propria verità, con la propria essenza profonda. Mentire è anch’esso un atto di violenza che puoi fare a te stessa o agli altri.
  • Asteya, non desiderare, che non vuol dire non farlo in modo assoluto, ma farlo nel modo più allineato alla propria anima cercando di discernere quando il desiderio è dettato dall’esterno e dalla società. Nell’era del prepotente consumismo diventa necessario possedere di tutto, ma è davvero utile? Se un desiderio, invece, soddisfa la tua anima, allora ben venga.
  • Brahmacharya, non sensualità/moderazione. Questo precetto è spesso attribuito alla sessualità, tuttavia essa non va demonizzata perché il sesso è un mezzo di profonda connessione con se stessi e con l’altro, tant’è che tra le varie ramificazioni dello yoga ce n’è una apposita. La sessualità, ma in realtà questa norma può essere ampliata a tutto ciò che facciamo in modo esagerato, va moderata sempre prendendo a riferimento l’anima e l’intenzione che mettiamo nello svolgere questa azione, sesso o altro.
  • Aparigraha, non attaccamento. Questa è forse la più difficile ed è ora più che mai necessario fare pace con il concetto di impermanenza. Tutto si trasforma, è impossibile e contro natura sperare, o addirittura, pretendere che non ci siano cambiamenti in noi, nelle persone intorno a noi, nei contesti intorno a noi. Non esiste “è mio!” soprattutto se si riferisce ad un’altra persona (ad esempio le relazioni romantiche). Aggrapparci a xxx sperando che tutto fili liscio come sempre non è reale e impedisce a noi stesse di evolvere e fluire con la più naturale trasformazione. Questo atteggiamento crea gabbie mentali, blocchi energetici e l’impossibilità di evolvere.

Le successive 5 regole rientrano nei Nyama, le regole di condotta:

  • Saucha, purificazione. Con questo si intende la purezza della propria anima, del corpo e dell’ambiente in cui viviamo. E’, nello specifico, pulizia e rispetto di se stessi e degli ambienti che viviamo maggiormente. E’ prendersi cura.
  • Santosha, apprezzamento di ciò che si ha. Spesso portiamo l’attenzione a ciò che non abbiamo dimenticando di onorare e ringraziare ciò che abbiamo. La soddisfazione lascia posto alla frustrazione, fossilizzati sul senso di scarsità dimentichiamo l’abbondanza che ci circonda.
  • Tapas, determinazione/autocontrollo. Le reazioni sono prodotti dell’ego e della paura, ci mettono in difesa e ci chiudono. L’anima è espansione, saggezza, potere di azione.
  • Svadhyaya, studio del Sé. Osservare, comprendere, analizzare, sentire per scoprire il proprio mondo interiore. La pratica, l’autoanalisi e lo studio dei testi è il modo che abbiamo per scendere sempre più in profondità. Gli yogin sono ricercatori, ricercatori dell’esistenza. Sono, spesso, alla ricerca della propria missione di vita e della beatitudine.
  • Isvarapranidhana, abbandono alla volontà divina. Può essere Dio, l’Universo, la sorgente, la fonte, l’intelligenza suprema, chiamala come vuoi, ma abbandonati con fiducia a quel qualcosa che regola tutto. Non solo te, ma anche tutto il complesso e meraviglioso sistema che è la natura o, allargandoci ad uno spazio più ampio, il sistema solare. Da mente super scientifica qual ero, sinceramente sono un po’ stufa dello scetticismo generale di massa, torniamo alla spiritualità che non è necessariamente essere devoti ad una religione (io non ne ho), ma quanto meno rendersi conto che la scienza a certe cose non ci arriva ancora. La fisica quantistica, tuttavia, sta fornendo dati davvero preziosi per studiare e spiegare quanto millenni fa spiegavano i saggi dell’antica tradizione yoga.

Ecco, se proprio c’è qualcosa da cui partire a livello teorico, credo che le regole di condotta siano un po’ “i dieci comandamenti” che conducono all’amore di sé e verso gli altri. Il resto si fa sul tappetino. Per raggiungere questo amore è necessario conoscersi e, come ho scritto più su, si inizia a conoscersi davvero partendo dal proprio corpo, abbinare lo studio e poi la meditazione.

Non a caso la disciplina yoga è stata suddivisa da Patanjali in otto passi, si entra nella meditazione negli ultimi tre. E’ questo un percorso che ha lo scopo di guidare il praticante attraverso diverse consapevolezze. I primi due passi li abbiamo visti qui, sono Yama e Nyama; il terzo sono le asana, quindi la pratica fisica; il quarto è pranayama, il controllo del respiro; prathyara, ritrazione dei sensi; e poi Dharana, Dhyana e Samadhy in cui si entra nell’ambito della meditazione sempre più profonda partendo rispettivamente dalla concentrazione, fusione, stato di supercoscienza.

Torno a ripetere che non c’è nessuna fretta di conoscere la “teoria” o la “storia”, se lo yoga fiorisce in te, sarà un passaggio che naturalmente ti verrà di fare accompagnata, sostenuta, guidata dall’insegnante.

Con amore,

Simona

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