In un mondo, in una Italia che “da grande voglio fare il posto fisso” e se ce l’hai non hai più guai (così si pensa), c’è qualcuno che al posto fisso ha rinunciato per seguire sogni più grandi: i propri e poi quello di aiutare le piccole attività, soprattutto al femminile, a barcamenarsi nel trambusto del mercato attuale.
Solare, energica quanto delicata, frizzante, Chiara Corriga ha stravolto la sua vita fatta di certezze, per continuare a formarsi e mettersi in proprio. Lo ha fatto nel suo modo tutto particolare, con sacrificio, impegno, tessendo una trama in cui porsi come assoluta protagonista.
Stessa arte che utilizza oggi con le sue clienti, per scovarne i talenti e riaccenderli senza scadere troppo nell’immaginario, ma mantenendo quel contatto con la realtà tipico di chi accademicamente parlando si è formata in ingegneria. Non c’è solo immaginazione in Chiara, ma c’è visione, un obiettivo, i sogni cercano di sposarsi alle esigenze concrete per cercare il mix perfetto e vincente.
Chiara zompetta tra emozioni e numeri, forte del coraggio che la contraddistingue, pioniera del suo benessere, con la determinazione e quel pizzico di follia come solo una arietina può essere. Una tessitrice di talenti, insomma.
Conosciamola.
Da ex ingegnere industriale come sei arrivata a quella consapevolezza che ti ha condotta a cambiare completamente lavoro e quindi vita?
Quando ho intrapreso gli studi universitari, da persona curiosa quale sono, avrei potuto iscrivermi a qualsiasi indirizzo. Nel mio cuore pulsava la psicologia e l’astrofisica, ma ho fatto l’errore di scegliere in virtù delle possibilità lavorative di quel periodo. Ingegneria mi incuriosiva e credevo potesse darmi degli sbocchi lavorativi, così è stato perché effettivamente qualche minuto prima della discussione della tesi mi avevano già confermato il mio primo lavoro.
Tuttavia già negli ultimi anni di studi qualcosa non andava perché il percorso mi incuriosiva ma non mi faceva battere il cuore. L’ho portato avanti per senso del dovere e quando ho iniziato a lavorare, tutti i segnali che avevo soffocato hanno iniziato a sentirsi sempre di più. Nonostante la carriera in azienda, non mi sentivo per nulla integrata nella squadra. Da dipendente ho sempre avuto un approccio al cambiamento, in multinazionale era difficile. Inoltre mi è sempre piaciuto autogestirmi, quando strisciavo il cartellino per entrare, ogni giorno un neurone moriva. Mi sentivo tarpata.
Al di là dell’ingegneria era proprio la struttura organizzativa che mi stava stretta e le ingiustizie nei confronti delle donne, come ad esempio lo stipendio più basso a parità di ore e mansione rispetto agli uomini e che non venissi digerita in quanto donna esperta in metallurgia.
Poi è arrivato il malessere fisico, stress, problemi di salute, ecc… A livello razionale dovevo prendere in considerazione questi sintomi e poi la pancia mi suggeriva di creare qualcosa di mio. Quando ero piccola, nella mia testa dicevo, a 33 anni diventerò imprenditrice. Immaginavo un lavoro da casa, da gestire come meglio credevo. Lo shift più importante è stato quando ho deciso che non mi sarei ammalata per rispondere ad un sistema precostituito.
Come hai agito per definire nuovi obiettivi?
Già da tempo avevo intrapreso studi paralleli per conto mio, ero tornata all’amore per la psicologia. E nell’ultimo periodo che ho lavorato in azienda praticamente tornavo a casa da lavoro e ne iniziavo un altro.
Studiando marketing e verticalizzando sempre di più gli studi, ho notato che mi piaceva tantissimo scrivere, in realtà mi piaceva fin da quando ero piccola e ho ripescato la scrittura buttandomi nell’ambito del copywriting. Ad un certo punto dovevo fare una scelta.
Premetto che non vengo da una famiglia benestante, quindi tutto questo cambiamento è avvenuto mentre lavoravo per provvedere a tutte le spese che richiede la vita. In questa multinazionale, dove avevo un ruolo di responsabilità prendevo circa 1,3mila euro a cui bisognava togliere affitto, bollette, benzina, cibo.
Mi preme dirlo perché quando si parla di liberi professionisti si pensa sempre che abbiano un paracadute. Non è vero. Mi sono costruita da sola, per questo nei primi tempi ho fatto due lavori. Cosa che mi è servita anche per capire cosa volessi fare davvero, c’è voluto del tempo.
E ora sei una tessitrice di talenti, che significa?
Anche in questo caso c’è stata una evoluzione professionale. Quando ho aperto partita iva sono partita come copywriter, aiutavo a tradurre in parole le attività per introdurle nel mercato. Tradurre sogni e progetti di altri, con le loro parole, richiedeva competenze più umanistiche che di marketing.
E’ riemerso così il bisogno di tornare alla psicologia, ma invece di optare per un percorso universitario, mi sono iscritta ad un master in coaching. L’anno scorso c’è stato il mio re-branding e sono nata come tessitrice di talenti. Quindi oltre a dare voce alle persone, ho capito che volevo aiutarle a riscoprire i loro talenti.
Soprattutto noi donne.
Questo è il motivo per cui lavoro principalmente con le donne. Noi soccombiamo ad una serie di retaggi molto più antichi della nostra società in cui viviamo, sono tatuati nel nostro dna. A partire dalla ciclicità femminile per esempio. Ricordo che quando mi arrivava il ciclo mi imbottivo di farmaci perché non mi permetteva di essere performante al cento per cento.
Quando sono diventata libero professionista ho puntato e studiato la questione della ciclicità per invitare le donne a prenderne coscienza e a riconoscerla come alleata, non come nemica. La tessitrice di talenti nasce per questo. La tessitura è l’arte del creare, arte al femminile per eccellenza. E circa i talenti la mia missione è cercare di riaccendere queste fiammelle che abbiamo dentro ma che con il tempo abbiamo soffocato. Loro ci sono sempre, si tratta solo di spolverarle.
Le donne che si rivolgono a te che tipo di difficoltà/obiezioni hanno nel tornare a consapevolizzare queste fiammelle?
Ci sono tutta una serie di condizioni limitanti legate soprattutto all’ambito familiare e quelle che partoriamo in autonomia. Una donna che un giorno decide di diventare una libero professionista in generale sta giocando. Io lavoro con donne che vanno dai 38 ai 48 anni quindi hanno alle spalle genitori che sono nati in un’altra epoca. Ci sono credenze e convinzioni limitanti radicate in loro. Quella più forte è appunto “stai giocando” soprattutto per quelle donne che vogliono lanciare una professione diversa dalle solite, come quelle dal taglio olistico, che sono quelle con cui lavoro. Un lavoro non lavoro, che è l’insegnante di yoga? Che è la naturopata?
E poi la madre di tutte le condizioni è “lavorare significa soffrire”. Se fai qualcosa che ti piace e ci guadagni pure sopra è una botta di fortuna; se ce la fai è perché uno su mille ce la fa, mica perché ti sei impegnata. Se una donna passa da lavoro dipendente a libero professionista c’è tutto il gruppo degli ex colleghi che ti vedono lasciare la gabbia quindi o ti guardano come una creatura mitologica che esce dal matrix, oppure ti guardano e pensano “oddio poverina, finirà sotto ad un ponte”.
Ma quelle sono loro proiezioni, loro paure. Queste condizioni appartengono a chi ce le muove. Se si rendono conto che è possibile fare in altro modo, per loro questo farcela è una sberla, se il collega ti vede seguire la luce è ovvio che voglia smontarti perché per motivare la sua scelta o non scelta ha bisogno di dirti qualcosa.
Un’altra condizione è quella dell’autostima. Di fatto siamo abituate a misurarci con unità di misura molto pragmatiche: i soldi che si guadagnano, il numero dei clienti, la taglia, i chili che perdi… Il nostro valore è sempre legato ad un numero.
Noi valiamo a prescindere da questi dati. Questo è un modo di pensare a cui non siamo abituate, è importante riconoscere che valiamo anche se abbiamo fatto un lancio che è andato malissimo perché altrimenti entriamo nel terrore del fallimento.
Le circostanze esistono, può succedere che un lancio vada male, che alcuni mesi guadagniamo meno, può succedere di perdere followers.
Qual è l’ingrediente magico per raggiungere il proprio personale successo?
Ce ne sono diversi e la sfida è amalgamarli bene. C’è la fiducia in noi stesse, riconoscere il nostro valore e crederci. La costanza che in una società abituata ad avere tutto e subito diventa difficile praticare. Nel business come nelle relazioni non è così, la natura ci insegna che serve tempo, e che bisogna reiterare una azione nel tempo. Il terzo ingrediente è l’umiltà da declinare in diversi ambiti. Se si lavora in proprio è bene formarsi continuamente, non si finisce mai di conoscersi in profondità. L’umiltà è la chiave che ti mette nella condizione “io so di non sapere”.
Se dovessi scattare una foto al panorama femminile, chiaramente dei contesti che vivi, cosa vedi?
C’è profumo di risveglio. Ho sempre pensato che le situazioni di crisi siano enormi portali per l’evoluzione. Quello che è successo nell’ultimo anno, che ha coinvolto tutti indistintamente, ha dato uno scossone generale a prescindere dalla sensibilità che ognuno aveva nella propria crescita interiore.
Comincio a vedere una fase di risveglio, mi sembra di percepire che le coscienze siano più attive, che si abbia voglia di stare bene, di tornare al bello. In qualche modo è come se ci fosse stato il passaggio della dea Kalì che ha raso tutto al suolo ed ora i semi iniziano a germogliano.
Chi si accontenta non gode, ma muore. Ci sono molte donne che lo hanno capito.
Nel tuo modo di comunicare c’è molta magia, cosa fai nel tuo quotidiano per mantenerla viva?
Mi rendo conto che la magia è qualcosa di estremamente abusato. Ci sono diverse professioniste che praticano rituali, ma i rituali sono molto personali. La magia per me è creatività, tutto ciò che mi mette in connessione con me stessa, dove con me stessa non intendo il mio ego ma il mio Sé più grande, la mia coscienza. I miei rituali servono per rimettermi in connessione con il mio Sé e a volte anche con quello degli altri.
Lo faccio nel mio lavoro, quando passeggio con il cane nella natura, in cucina, quando bacio il mio compagno, quando osservo i pensieri o quando una paura si sta generando. Questa è magia, se poi c’è anche una candela è ancora più bello, ma non necessario.
Chiara ieri, oggi, domani. Qual è il tuo sogno più grande?
E’ riuscire a manifestare la mia essenza ed aiutare anche gli altri a farlo. La sto ancora conoscendo e continuerò a farlo. E poi voglio sentirmi realizzata professionalmente, come donna e riappropriarmi del mio potere femminile.
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Namaste
Simona